

Giuditta E Oloferne Storia – Ma Artemisia vede il proprio dramma personale come il simbolo che definisce la storia. Le spettacolari decapitazioni della Giuditta di Artemisia ci mostrano l’incarnazione del dolore dell’artista. Artemisia Gentileschi è la figlia del presunto pittore romano del Cinquecento Orazio Gentileschi. Come amica del padre di Artemisia e del suo maestro, Agostino Tassi, la vicenda ottenne un’ampia notorietà nel 1611. Il personaggio Artemisia Giuditta è una metafora del proprio peccato personale. Tutta la violenza e l’odio che questa tragedia suscitò nelle vene di Artemisia sono documentati nella Giuditta dei Gentileschi. Decapitare l’uomo mette a dura prova le braccia della donna. Invece di essere radicata nella volontà divina, la forza di Giuditta può essere ricondotta all’avversione per coloro che le fanno del male. Molti critici hanno letto nei vari resoconti di Giuditta delle Gentileschi il desiderio di competere con Agostino Tassi. La loro vendetta viene eseguita; Gli abiti di Oloferne sono stati trovati su Tassi.
Alcuni storici sostengono che il padre di Artemisia, Orazio, seppe subito dell’incidente e della successiva amicizia della figlia con l’amico. Tuttavia, sembra che il padre abbia fatto la confessione solo molti mesi dopo l’evento. L’ipotesi che Orazio abbia calunniato Agostino per animosità personale o rivalità professionale è plausibile. Artemisia deve essere estremamente adorata se questo è il caso. Inoltre, Artemisia è stata sottoposta a un lungo processo, durante il quale è stata interrogata sotto tortura come se fosse l’imputata. Ma non aver mai paura di intingere il dito. Probabilmente, anche l’arte è stata una liberazione emotiva per lei. L’argomento Giuditta e Oloferne le permette di assaporare l’attimo della sua improvvisa violenza e di portare a termine non solo la sua vendetta ma anche la sua rivalsa.
Il divino femminile lo ha colpito. Così Giuditta, giovane ebrea di Betulia, riflette sull’impresa eroica che liberò il popolo d’Israele dalle mani dell’esercito di Nabucodonosor nella Bibbia. Giuditta si era presentata nell’accampamento nemico, vestita della più bella uniforme di Oloferne e comportandosi come se volesse allearsi con lui. Il generale assiro è così preso dalla sua bellezza che la invita a un sontuoso banchetto nella sua tenda. Dopo aver mangiato e bevuto, Oloferne si addormentò nel suo letto, dando a Giuditta la possibilità di infilare la scimitarra sotto il suo letto e sferrare un colpo mortale. Nel suo dipinto monumentale “L’Uccisione di Oloferne” (1620 o giù di lì), oggi conservato alla Galleria degli Uffizi, Artemisia Gentileschi raffigura una Giuditta forte e determinata che affronta il tempo delle mutilazioni di Oloferne.
L’effetto cumulativo è potente e spasmodico; tutti sono gonfi e sdraiati sul letto; la testa è inclinata verso il mento; la vanga affonda al collo. Artemisia non esita a descrivere i dettagli cruenti, come il sangue che sgorga copiosamente fino a imbrattare il viso di Giuditta. Dopo sette anni a Firenze, Artemisia tornò a Roma, dove poté rinnovare la sua conoscenza delle opere di Caravaggio e completare il quadrilatero. La “virilità” naturalistica della raffigurazione provocò forti reazioni al suo arrivo a Firenze, e al dipinto fu negato l’onore di una mostra privilegiata in Galleria. Fu solo grazie all’intervento dell’amico del pittore, Galileo Galilei, che l’artista ricevette alla fine il compenso promessogli dal defunto Granduca Cosimo II de’ Medici, morto nel 1621. Oggi possiamo saperne di più sull’opera personale e viaggio professionale attraverso questo dipinto. Scelse di essere un’artista in un periodo in cui gli uomini dominavano il campo, e ci riuscì, lavorando per le corti di Roma, Firenze e Napoli prima di recarsi in Inghilterra e infine diventare la prima studentessa ammessa alla prestigiosa Accademia di Belle Arti di Firenze e Disegno.
La storia dell’arte ci insegna che i soggetti più rappresentati durante l’era cristiana erano quelli adattati dai racconti biblici. Ciò era particolarmente comune nei secoli passati perché le persone che commissionavano le opere d’arte erano tipicamente nobili ricchi con accesso a cappelle private negli edifici religiosi. Il racconto di Giuditta e Oloferne è un esempio di episodio biblico raccontato artisticamente. La Bibbia, in particolare il Libro dei Giudici, racconta la storia di come una donna ricca e bella che temeva Dio ed era quindi profondamente amata dal popolo ebraico riuscì a salvare il suo popolo dalle mani del re assiro Oloferne. Una notte Giuditta si preparò, si vestì e appariva sbalorditiva mentre sedeva con il servo di Oloferne alla sua tenda, portando doni e fingendo di consegnare il suo popolo al nemico.
Oloferne the Credentials l’ha invitata nella sua banca, dove hanno bevuto e si sono ubriacati. Fu invitata nelle sue stanze e Giuditta attese il momento giusto per ucciderlo squarciandogli la testa con due lame di scimitarra. Dopo averlo ucciso, è tornata dalla sua gente come vincitrice. Tra le figure bibliche, Giuditta è simbolo di virtù e devozioneDio; è ampiamente venerata nella tradizione cattolica e per secoli ha servito da ispirazione a poeti, pittori e altri artisti. Due dei suoi dipinti più famosi furono creati a un intero decennio di distanza, tra il 1599 e il 1620, quando emerse un nuovo gusto per la pittura narrativa , uno che predilige quelli che ora chiameremmo soggetti “forti” che potrebbero suscitare forti risposte emotive da parte degli spettatori.
Il primo è un dipinto di Michelangelo Merisi da Caravaggio che lo ritrae all’età di 28 anni. In “Giuditta e Oloferne”, la scena si concentra interamente sul climax drammatico, quando Giuditta sta dando una pacca sulla testa a Oloferne. Il re d’Assiria è raffigurato da qualche parte tra la vita e la morte, mentre compie un disperato tentativo di trovare la pace attraverso il rilascio di emozioni represse. Sebbene le sue braccia e le sue gambe siano ancora toniche, il suo viso ha perso il suo aspetto giovanile a causa della morte. L’emozione è inoltre accentuata dal mode in cui Caravaggio ha dipinto l’eroina Giuditta: altera, impassibile, giovane e beautiful, with la veste candida e pura, comme puro è il suo cuore, puro nell’istante stesso in cui annienta l’ esistenza di colui che le ha causato tanta sofferenza.
Il secondo dipinto fu invece realizzato da Artemisia Gentileschi quando di anni ne aveva 27. La sua interpretazione dell’uccisione di Oloferne da parte di Giuditta contiene sicuramente il riferimento all’opera di Caravaggio, ma ne rappresenta al tempo stesso l’evoluzione. Nella scena dipinta da Artemisia, infatti, scompaiono I simbolici dell’interpretazione dell’evento in senso biblico e tutta la concentrazione è dedicata alla resa drammatica: Giuditta non è più la fanciulla candida, simbolo di virtù, ma una donna energica che adopera tutta la sua forza fisica per uccidere Oloferne. La lama della spada entra ed esce dal collo della vittima I cui occhi sono volti all’osservatore, anche si le pupille sono già rivoltate verso la fronte perché la morte è sopraggiunta in quel preciso istante.
La figura della serva che in Caravaggio serviva solo a far emergere ancora più fortemente la bellezza di Giuditta, nell’interpretazione di Artemisia partecipa all’assassinio, tanto che Oloferne è colto nel tentativo di respingerla, con il braccio alzato e la mano che stringe le sue vesti all’altezza del petto. A rendere ancora più agghiacciante la scena, il sangue della vittima cola verso il basso, spargendosi in tanti rivoli rossi sulle lenzuola candide. Sia Caravaggio che Artemisia hanno scelto Oloferne per rappresentare la violenza dell’atto: Oloferne sanguina, sta morendo, tenta invano di contrapporsi alla sua carnefice. Molto diversa è invece, nei due pittori, la figura dell’eroina, che in Caravaggio appare come presenza simbolica della virtù che trionfa sul male, mentre completamente in Artemisia è partecipe e co-protagonista della scena che si sta svolgendo.

